Dopo aver analizzato la differenza tra alcune delle figure mitologiche appartenenti all'ambito della salute mentale, vorrei continuare la sfida a render più chiaro e comprensibile il mondo degli “psicocosi”.

Vorrei oggi soffermarmi su una domanda che i “non addetti ai lavori” mi pongono spesso: quale differenza c'è tra una consulenza psicologica e una psicoterapia?

Il Counseling o Consulenza Psicologica fa riferimento ad un numero limitato di colloqui volti a condividere, leggere e comprendere le problematiche o il malessere che spingono la persona a chiedere un aiuto specialistico.

Si tratta concretamente di invitare l'interlocutore a guardare criticamente i motivi e le aspettative che sottendono la sua domanda, di definire la problematica, di avviare una riflessione al riguardo e, infine, individuare obiettivi perseguibili e compatibili con il contesto in cui si è inseriti.

Attraverso le consulenze psicologiche è possibile affrontare problematiche personali, relazionali, lavorative/scolastiche che interferiscono nel quotidiano dell'individuo, generando nuove conoscenze e nuove prospettive utili per la gestione della difficoltà riscontrata.

La Psicoterapia è, invece, un percorso volto al trattamento di un disagio psicologico, sia che si manifesti con sintomi (ansia, depressione, disturbi connessi all'alimentazione, uso eccessivo di droghe o alcool.. ), sia che si manifesti con quote di sofferenza molto elevate, ma non attribuibili a patologie conclamate (forte tristezza, agitazione, preoccupazione eccessiva, senso di confusione o disorientamento.. ).

L'intervento psicoterapeutico non ha una durata prestabilita, varia in funzione della problematica riportata e su quanto interferisca nella vita dell'individuo, dalle capacità proprie del soggetto in termini di maturazione e crescita e, infine, dalla relazione che si instaura tra terapeuta e paziente in termini di fiducia, affidabilità, sicurezza.

La finalità del percorso terapeutico è che il soggetto arrivi a percepire una diminuzione dei sintomi presentati o della sofferenza condivisa, una nuova immagine di sé, una maggiore comprensione e consapevolezza riguardo se stesso e il contesto in cui vive, promuovendo maggiore flessibilità, capacità di adattamento e padronanza.

La Psicoterapia si mostra utile in momenti critici o destabilizzanti della vita, ma può esserlo altrettanto per prevenire eventuali difficoltà o per rispondere alla curiosità circa se stessi e alle dinamiche interpersonali che si mettono in atto nel quotidiano.

Dunque, il percorso psicoterapico non è rivolto esclusivamente alla “cura” di un disagio o di un sintomo, ma rappresenta anche uno strumento costruttivo che genera conoscenza, consapevolezza e promuove una migliore qualità della vita.

PS. Il counseling o la consulenza psicologica può essere effettuato solo e soltanto da Psicologi e da Psicoterapeuti abilitati all'esercizio della professione e iscritti all'Ordine Regionale di appartenenza (occhio agli abusi di professione!); la Psicoterapia è invece sostenuta da Psicoterapeuti o Medici specializzati in Psicoterapia o Psichiatri, anch'essi iscritti ai vari Ordini di appartenenza (Ordine dei medici o Ordine degli psicologi).

Dott.ssa Nicoletta Chiaracane

Un mio adorato docente soleva definirci “Psico-cosi” o, in termini ancor più affettivi quasi paterni, “Psico-cuccioli”; nello slang metropolitano o in quello squisitamente cinematografico siamo invece rappresentati da termini come “strizza-cervelli”, “dottore dei matti”...
Da qui, si evince una nota e diffusa difficoltà nel definire, come fossimo figure mitologiche, le professioni che ruotano attorno alla salute mentale.

Proviamo a fare una differenziazione in questo marasma.

Partiamo dalla figura dello Psicologo:
Colui il quale frequenta l'Università laureandosi in Psicologia o Scienze e Tecniche Psicologiche (quinquennale o, oggi, triennale + magistrale) e, dopo un anno di tirocinio, accede all'esame di stato, si abilita alla professione e si iscrive all'Ordine professionale di appartenenza.
Soltanto in seguito a questi step, uno psicologo è definibile in quanto tale e può intraprendere concretamente la propria vocazione. Nello specifico, lo psicologo utilizza “strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione, riabilitazione e sostegno rivolte a persone, gruppi, organismi sociali e comunità. Inoltre, comprende attività di sperimentazione, ricerca e formazione in tale ambito.”

Seconda figura mitologica, lo Psicoterapeuta:
Colui il quale, non contento dei 5 anni di studi universitari in psicologia o in medicina (con annessa abilitazione e iscrizione all'Ordine), vuole incarnare il vero e proprio stereotipo internazionale (divanetto e lettino!), proseguendo i propri studi con ulteriori 4 anni di scuola di specializzazione in Psicoterapia, scuola obbligatoriamente riconosciuta dal MIUR.
Con questo titolo è possibile prendere in carico una persona che mostra sofferenza di natura psicologica, emotiva o relazionale o con una sintomatologia conclamata (es. ansia, fobie, depressione, disturbi alimentari...) accompagnandola in un percorso di cura, con il fine di raggiungere o ripristinare uno stato di benessere mentale.

Terza e ultima figura mitologica, lo Psichiatra:
Colui il quale intraprende gli studi in Medicina e Chirurgia e, una volta laureato e abilitato, decide di specializzarsi in Psichiatria. Conclusa buona parte della propria giovinezza e ufficialmente psichiatra, offre un quadro organicistico della salute e, nel concreto, propone percorsi di cura a persone che manifestano disagi mentali attraverso terapie farmacologiche e/o psicoterapeutiche.

È importante precisare che le professioni citate non sono le uniche che si occupano di salute mentale e non me ne vogliano tutti coloro rimasti esclusi; sia chiaro che la loro assenza da questo testo non è assolutamente connessa a minore valore in termini di utilità ed efficacia.


Dott.ssa Nicoletta Chiaracane
Psicoterapeuta&Sessuologa

Assistiamo oggi al propagarsi di una problematica sempre più diffusa che riguarda le coppie, il calo o la perdita del desiderio sessuale, difficoltà comune a uomini e donne, che fatica ad essere riconosciuta e condivisa in coppia, generando malessere e insoddisfazione.

Risulta complesso definire il desiderio nelle sue variabili quantitative “troppo” o “troppo poco” in quanto, pur esistendo dati oggettivi e medie, ciò che crea una frattura è la percezione soggettiva dell'individuo o della coppia che sperimenta tale condizione. Ciò che vivono risulta discrepante rispetto alle loro aspirazioni e aspettative, si avverte una differenza significativa “tra ciò che dovrebbe essere ed era” e “ciò che è”. Tale sensazione genera quote rilevanti di disagio e sofferenza e, se non esplorata e affrontata, può creare situazioni di stallo e di mis-conoscimento della problematica o crisi di coppia di difficile gestione che, alla lunga, potrebbero portare a rotture e separazioni.

Il calo e la perdita del desiderio sessuale possono essere attribuiti a condizioni mediche generali oppure possono essere legati a problemi più profondi o relazionali con il proprio partner.

Esclusa la patologia medica, il calo del desiderio o la sua perdita può essere espressione di una sofferenza individuale o di coppia; nello specifico, può manifestarsi in periodi fortemente stressanti o caratterizzati da eventi di vita difficili, che condizionano lo stato mentale ed emotivo del singolo, con ripercussioni nella coppia; ad esempio, problematiche sul lavoro, l'irrompere di malattie, cambiamenti bruschi ed improvvisi... Anche i ritmi veloci e forsennati della quotidianità, dove vi è un'assenza reale di tempo da spendere in intimità con il proprio partner, possono condizionare il desiderio di stare insieme. Ancora, l'irrompere di routine, noia, abitudine, schemi meccanici che, via via, si strutturano generando dinamiche relazionali disfunzionali (dinamiche di eccessivo accudimento del partner, logiche di potere, bisogno di controllo e fatica a lasciarsi andare... ), potrebbero far diminuire il desiderio sessuale, rendendo la spontaneità e la passione fantasmi che aleggiano sullo sfondo.

Qualunque sia la fonte di esaurimento del desiderio, questo può essere nutrito quotidianamente insieme al proprio compagno/a provando a re-introdurre la dimensione del piacere e del gioco, mantenendo una posizione paritetica e di reciprocità, recuperando un piacere non volto al raggiungimento di un obiettivo, ma finalizzato allo stare insieme e a incontrare l'altro. Nella sessualità e nella coppia non ci sono diritti né doveri, solo proposte, ed è proprio il sistema di proposte e “corteggiamento” del partner che alimenta la voglia ed il desiderio di incontrarsi e di condividere l'intimità.

Quando tutto ciò non sembra perseguibile da soli o risulta complicato e impegnativo, potrebbe essere utile rivolgersi ad uno specialista, per intraprendere un percorso volto all'esplorazione e alla comprensione della problematica sessuologica vissuta e delle dinamiche profonde e relazionali sottese.

Il principio di ogni terapia sessuologica è quello di creare le condizioni affinché il disturbo si risolva, trattando le condizioni che lo hanno generato. È un'esperienza correttiva e ristrutturante per la coppia poiché gli permette di stare insieme con modalità diverse rispetto a prima, cercando di comprendere e condividere i significati impliciti alla sessualità ed esplorando i meccanismi divenuti automatici.

È importante sottolineare che colui che manifesta un calo del desiderio o una qualsiasi sintomatologia sessuologica (disturbo del desiderio ipoattivo, perdita improvvisa dell'erezione, vaginismo, dispareunia, eiaculazione precoce/ritardata) non sia “additato” come colui che ha il problema, in quanto la problematica espressa riguarda sempre entrambi.

Dott.ssa Nicoletta Chiaracane

Psicoterapeuta, Sessuologa Clinica

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